giovedì 27 luglio 2017

218 a.C. Cremona sfida Annibale


Il busto di Annibale ritrovato a Capua
Per tener vivo l'interesse turistico suscitato dalla mostra del Guercino, Piacenza si appresta ad ospitare nel 2018 una grande mostra dedicata ad Annibale nei sotterranei del palazzo Farnese, approfittando dell'assonanza con il 218 a.C. quando il condottiero cartaginese sconfisse i Romani nella battaglia della Trebbia. Cremona, che pure ad Annibale deve in fondo la sua stessa esistenza, con scarsa originalità ha deciso di puntare tutto sui personaggi del Novecento: don Primo Mazzolari, Mina, Danilo Montaldi e il Premio Cremona”, il cui appeal resta strettamente locale. Un'occasione persa per rinverdire, esattamente a vent'anni di distanza, i fasti della grande mostra archeologica della Postumia, quando la soglia di Santa Maria della Pietà fu varcata da settantamila visitatori. E il materiale da esporre di certo non manca. Basti pensare che abbiamo prestato un elmo celtico in bronzo, proveniente da Pizzighettone, addirittura a Barletta, nel cui territorio si trova Canne, per organizzare lo scorso autunno, guarda un po', proprio una mostra dedicata al viaggio di Annibale, dove il pezzo forte era rappresentato dalla corazza dell'eroe cartaginese, proveniente dal museo del Bardo di Tunisi. La stessa corazza che, prima di tornare in Tunisia, viaggerà con altri pezzi celtici e romani alla volta di Piacenza. Insomma le due colonie gemelle, fondate sulle sponde del Po per fronteggiare l'avanzata dell'esercito cartaginese verso Roma, hanno diviso i loro destini proprio su questa importante occasione, tale da fornire a Piacenza il biglietto da visita ideale per candidarsi a capitale della cultura per il 2020.
Quando Annibale, nel settembre del 218 a.C., valicate le Alpi si presentò nella Pianura Padana, trovò solo una città in grado di tenergli testa: uno sperduto avamposto su uno sperone roccioso della riva sinistra del Po, nel mezzo di un territorio occupato dalle tribù galliche in rivolta, dove seimila spaventati coloni latini erano stati inviati in tutta fretta per difendere i confini, dapprima dall'aggressione dei riottosi galli Boi, e poi dalle soverchianti truppe cartaginesi che, seppure decimate dall'inverno alpino, erano pur sempre dotate di una fortissima cavalleria, dove spiccavano gli elefanti. Cremona, come la gemella Piacenza, era stata fondata solo qualche mese prima, secondo le ultime ricerche i primi di giugno del 218, anche se è possibile che fin dal 222 esistesse un avamposto insediato in territorio gallico, dopo l'accordo stipulato con i Cenomani. Erano momenti storici particolarmente convulsi, quelli a cui fa cenno Tito Livio: nel 225 a.C. vi era stato un primo attacco dei Galli nell'Italia settentrionale a cui Roma aveva risposto inviando un contingente di 80.000 uomini, forniti anche dagli alleati latini, dando il via alla prima iniziativa militare aldilà del Po. Nel 222 Marco Claudio Marcello aveva sconfitto i Galli Insubri ed ucciso il loro capo Vertomaro, ottenendo di conseguenza la disponibilità di un vasto territorio. Secondo Polibio, invece, sarebbe stata proprio la notizia dell'imminente arrivo di Annibale nella Pianura Padana a spingere i Romani a stringere i tempi per la deduzione delle colonie, dando un mese di tempo ai coloni per raggiungere il luogo loro indicato che, evidentemente, era in qualche modo già noto.
Annibale contempla l'Italia dalle Alpi (F. Goya, 1771)
La situazione, però, ben presto, precipita. Nel maggio del 218 Annibale aveva lasciato la penisola iberica con un esercito di 90.000 fanti e 12.000 cavalieri, oltre a 37 elefanti. Il condottiero cartaginese doveva muoversi in fretta se voleva sorprendere le forze di Roma ed evitare l'attacco diretto a Cartagine; Annibale intendeva combattere la guerra sul territorio nemico e sperava di suscitare con la sua presenza in Italia alla testa di un grande esercito e con una serie di vittorie una rivolta generale dei popoli italici recentemente sottomessi da Roma. Il piano predisposto dai romani prevedeva invece che i fratelli Publio Cornelio Scipione e Gneo Cornelio Scipione attaccassero Annibale mentre era ancora in Spagna, facendo leva sulle popolazioni locali, e nel frattempo fossero rafforzate le due colonie latine dedotte sul Po, Piacenza e Cremona. In questo contesto la notizia dell'imminente arrivo in Italia di Annibale, spinge i Galli Boi, già adirati per le assegnazioni agrarie ai nuovi coloni, a tentare un'azione armata con il sostegno degli Insubri nei confronti sia dei due insediamenti padani, che verso le terre occupate intorno ai due nuclei abitati, costringendo i coloni a fuggire verso est riparando a Mutina (Modena), rimasta interamente sotto il controllo romano, che viene stretta d'assedio. Tra i coloni che avevano trovato scampo a Mutina vi erano anche i triumviri incaricati dell'organizzazione della colonia di Piacenza, Publio Cornelio Scipione Asina, Papirio Masone e Gneo Cornelio Scipione. I tre deductores cremonesi, invece, Caio Lutazio Catulo, Caio Servilio Gemino e Marco Annio, che tentano di trovare un accordo con i Boi, vengono invece fatti prigionieri dai Galli ed a nulla serve un tentativo di liberarli compiuto dal pretore Lucio Minucio con la legione Quarta che, a sua volta, viene intrappolata dai Boi nella località di Tanneto, costringendo Roma ad inviare un altro contingente armato sotto la guida di un pretore, che però non riesce a liberare la legione prigioniera. I Boi, qualche mese dopo, offriranno i tre ostaggi ad Annibale che però consiglierà loro di tenerli in serbo in vista di uno scambio con prigionieri galli in mano dei romani. Tito Livio, che con Polibio si occupa di queste vicende, aggiunge anche una notazione curiosa e pungente sulla presunta pigrizia dei Celti, incapaci di sostenere l'assedio alla città e di bloccarne le vie di accesso.

Elmo bronzeo trovato a Pizzighettone
(seconda metà del III sec. a.C.)
Alla fine di settembre Annibale raggiunge la Pianura Padana e si accampa ai piedi delle Alpi per far riposare le truppe, impegnate per quindici giorni nell'attraversamento della catena montuosa e quasi dimezzate nei loro effettivi. Qui cerca di stringere un'alleanza con i Taurini, che si erano ribellati agli Insubri senza peraltro fidarsi troppo dei Cartaginesi, ma, non essendo riuscito nell'intento, stringe d'assedio la città di Taurasia, che dopo tre giorni capitola. Molti degli abitanti vengono messi a morte in modo da costringere le popolazioni limitrofe alla sottomissione. Una volta ottenuta la fedeltà delle numerose tribù celtiche Annibale decide di avanzare verso la pianura, ma viene a sapere che il console Publio Cornelio Scipione lo ha preceduto e lo attende a nord del corso del Po. Publio Scipione, infatti, una volta inviato il fratello Gneo in Spagna con la flotta e parte delle truppe, era ritornato in Italia, sbarcando a Pisa, ed attestandosi a Piacenza. Entrambi si apprestano a darsi battaglia, increduli per la rapidità dimostrata dall'avversario nei repentini spostamenti, avanzando lungo le sponde opposte del Ticino. Dopo due giorni di marcia, orami vicini, piantono gli accampamenti ed i romani, secondo Tito Livio, costruiscono anche un ponte sul Ticino, difendendolo con una fortificazione. Ne approfitta Annibale che, mentre i romani sono impegnati in queste operazioni, invia il suo generale Maarbale con una schiera di 500 cavalieri Numidi a devastare i campi delle tribù alleate dei romani, ordinando di risparmiare i Galli, in modo che i loro capi potessero in seguito defezionare a favore di Cartaginesi.
Lo scontro avviene a Viginti Columnae, una località non lontano dall'attuale Vigevano, verso la metà di novembre: i romani si era accampati a poco più di sette chilometri da Victumuli (forse l'odierna Lomello) dove a sua volta era accampato Annibale che, intuendo l'approssimarsi della battaglia, aveva richiamato in tutta fretta la cavalleria numida. Si trattò, in realtà., di uno scontro improvvisato, in quanto Scipione era andato in avanscoperta con i propri cavalieri romani e celti per spiare le condizioni dell'esercito nemico, senza immaginare che anche Annibale stava facendo la stessa cosa guidando la cavalleria numidico-iberica. Le due cavallerie si scontrarono frontalmente, dando vita ad un combattimento che per lungo tempo rimase equilibrato. Quando però i Numidi operarono l'accerchiamento alle "ali", caricando i soldati romani alle spalle, i velites, che inizialmente avevano evitato l'urto dei cavalieri nemici, vennero schiacciati dall'impeto numida. Gli altri, una volta assaliti alle spalle, si diedero alla fuga, disperdendosi, altri si strinsero attorno al console che, gravemente ferito, fu portato in salvo a Cremona Il resto dell'esercito romano raggiunse Piacenza, dopo aver sciolto le corde che legavano l'estremità del ponte sul Ticino, in modo da ritardare l'avanzata delle truppe cartaginesi. Annibale, dopo aver fatto circa 600 prigionieri, con due giorni di marcia riuscì a far passare il grosso dell'esercito cartaginese a sud del Po, sopra un ponte di barche, e pose l'accampamento a sei miglia da Piacenza, senza tuttavia forzare l'assedio alla città.
Un nuovo scontro avvenne il 18 dicembre sul fiume Trebbia. Dopo la battaglia del Ticino negli accampamenti romani vi era stata la rivolta degli ausiliari Galli che, dopo aver massacrato le sentinelle romane, in 2.000 fanti e 200 cavalieri erano passati dalla parte di Annibale. Scipione, prevedendo una rivolta generale, seppur ancora sofferente per la ferita riportata al Ticino, mosse da Cremona per spostarsi verso il fiume Trebbia in posizioni più elevate e collinari per meglio ostacolare la cavalleria cartaginese, e costruì un campo fortificato in attesa dell'arrivo delle legioni di Tiberio Sempronio Longo. Annibale, preoccupato per la scarsità dei viveri a disposizione all'approssimarsi dell'inverno, aveva occupato Clastidium, la fortezza-dispensa dove i Romani tenevano grandi riserve di viveri, in particolare di grano, grazie al tradimento del prefetto Daesio.
Spada celtica ritrovata a Romanengo
Inizialmente i Galli che abitavano la regione tra la Trebbia e il Po, di fronte a uno scontro tra popolazioni tanto potenti, preferirono mostrarsi amici di entrambi. I Romani che lo sapevano, ne tollerarono il comportamento, per evitare di avere ulteriori difficoltà. Ad Annibale invece spiaceva moltissimo poiché diceva di essere venuto in Italia per liberarli dal giogo romano, ma, per procurarsi i mezzi di sussistenza necessari all'esercito, aveva saccheggiato tutto i villaggi fino alla sponda destra del Po. I Galli avevano allora richiesto aiuto ai Romani, ma Scipione, dopo la rivolta negli accampamenti e ricordandosi del fatto che i Boi qualche mese prima avevano consegnato ad Annibale gli agrimensori cremonesi venuti a spartire le terre, non si fidava di loro. Tiberio Sempronio Longo, invece, che aveva affrontato vittoriosamente i cartaginesi in un primo scontro sul Trebbia in difesa degli alleati Galli, premeva per la soluzione veloce, probabilmente anche perché l'anno consolare volgeva alla fine e quindi la gloria, e i relativi vantaggi politici, di una vittoria su Annibale sarebbero toccati ai consoli successori. Publio Cornelio Scipione, ferito, cercava di prendere tempo, sia perchè riteneva che le legioni sarebbero state maggiormente preparate se avessero affrontato durante l'inverno un sufficiente addestramento, sia perchè sperava che i Celti, vista la forzata inattività dei Cartagine, avrebbero potuto voltar le spalle ad Annibale. Quest'ultimo, sebbene la pensasse quasi allo stesso modo di Publio Scipione, desiderava scontrarsi con i Romani il prima possibile: prima di tutto per meglio sfruttare l'ardore degli alleati Celti, almeno fino a quando gli fossero stati fedeli; in secondo luogo poiché le legioni romane erano state appena arruolate e poco addestrate e terzo, perchè sapeva che Publio, il migliore dei due consoli, era ancora ferito e non avrebbe potuto partecipare alla battaglia. Per questo motivo, quando seppe dagli esploratori mandati in avanscoperta che i Romani si apprestavano alla battaglia, il Cartaginese decise di giocare d'astuzia scegliendo un punto tra i due accampamenti dove si trovava una pianura priva di alberi, ma adatta ad un'imboscata, con un corso d'acqua dalle alte sponde, dove cresceva una vegetazione rigogliosa che gli studiosi hanno individuato ad est di Gazzola nei pressi di Rivalta. Qui fece nascondere le sue truppe, mandando il fratello Magone con la cavalleria numidica a provocare i Romani gettando dardi contro i posti di guardia. Sempronio cadde nel tranello, attraversando il fiume con tutta la cavalleria, la fanteria leggera e tutto il resto dell'esercito. Fu un strage: 10.000 soldati romani , stanchi, affamati, bagnati, ma compatti, riuscirono a ritirarsi in buon ordine a Piacenza. Dei resti dell'esercito romano una parte fu sterminata nei pressi della Trebbia dai cavalieri e dagli elefanti di Annibale, mentre indugiava a ripassare il corso del fiume gelido. La cavalleria e parte della fanteria romana riuscì inizialmente a tornare all'accampamento e poi, visto che le forze cartaginesi non riuscivano a passare il fiume per la stanchezza, irrigiditi dal freddo, oltreché dal disordine, a raggiungere Piacenza guidate da Publio Cornelio. Una parte dei Romani, infine, si spostò a Cremona, per non gravare con tutto l'esercito sulle risorse di una sola colonia.

La tomba celtica di Offanengo
Annibale non si curò più delle due colonie e proseguì la sua discesa dell'Italia, contando sul fatto che le tribù galliche dei Boi e degli Insubri si sarebbero, come avvenne, nuovamente ribellate, costringendo Piacenza e Cremona a resistere ad oltranza, creando ostacoli agli arruolamenti di Galli da parte dell'esercito cartaginese, ritardando la marcia di Asdrubale che, nel 207, ritentò l'impresa del fratello cingendo d'assedio Piacenza senza ottenere alcun risultato, ma rinunciando ad attaccare Cremona, protetta dal Po verso tutti gli assalti provenienti da sud. Nonostante il prolungarsi della guerra finisse con il minare la volontà di resistenza degli alleati, e si moltiplicassero le defezioni dei coloni, le due colonie gemelle resistettero ancora, fino al 206, quando i loro inviati posero davanti al Senato la questione dell'impatto che il conflitto aveva avuto sulle due comunità. Il senato si limitò ad ordinare ai coloni di rientrare, inviando in aiuto un pretore con un nuovo contingente militare. Il conflitto andò avanti e la guerra finì con il mutare il destino che fino ad quel momento aveva accomunato le due colonie. Nel 200 a.C. l'esercito cartaginese guidato da Asdrubale, unitosi ai Celti, compresi gli stessi Cenomani, mise a ferro e fuoco Piacenza, massacrando due terzi dei coloni che la abitavano, ma nulla potè contro Cremona, dove resistevano ancora gli abitanti protetti dalle strutture difensive, in attesa del soccorso che di lì a poco sarebbe arrivato con l'arrivo di un nuovo esercito consolare guidato da Lucio Furio. Nella furiosa battaglia in campo aperto, dove trovarono la morte Asdrubale e tre capi gallici, ebbero la meglio i Romani, che riuscirono a liberare duemila ostaggi catturati dai Galli a Piacenza. Annibale, sconfitto a Zama nel 202, si era ormai ritirato nella sua Cartagine. Per anni si è ritenuto che il luogo dello scontro fosse il quartiere Battaglione, anche se la notizia è priva di qualsiasi fondamento.
Numerosi sono invece i ritrovamenti archeologici che testimoniano la presenza del Celti nel nostro territorio ed il loro rapporto con i coloni romani. Per la fase più antica, tra il IV ed il III secolo a.C. si sono individuati nove ambiti con una distribuzione geografica lungo il corso del Serio, del Po e dell'Oglio. Spiccano poi i ritrovamenti di Pizzighettone con la presenza di una serie di elmi ritrovati nelle acque del fiume Adda, e quello di Rivolta d’Adda rappresentato dal tesoretto di dracme padane del terzo quarto del II secolo a.C. Vi è poi la tomba con il corredo di guerriero di Romanengo riconducibile alla seconda metà del III secolo a.C. ad un’area probabilmente sotto il controllo degli Insubri e la necropoli della Cascina Venina ad Isengo.


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