giovedì 8 febbraio 2018

Guido Sommi, l'ultimo dandy

Guido Sommi ritratto da Tamara de Lempicka
Il volto è una maschera fredda ed impassibile, lo sguardo glaciale e magnetico lascia trapelare l'inquietudine interiore, l'espressione corrucciata, l'eleganza formale, il movimento quasi nevrotico del braccio, l'elegante abito scuro ed i capelli lucidi di brillantina. Per restituire la complessa personalità di questo dandy sofisticato, la Lempicka ricorre ad una serie di allusioni: l'eleganza ossessiva del marchese e la sua attenzione al minimo dettaglio dell'abito, tipica dell'estetica futurista, è richiamata dalla stilizzazione esasperata della figura che rimanda alla cartellonistica e ai figurini di moda del periodo. Quando nel 1925 Tamara de Lempicka lo raffigura così, lei e Guido Sommi Picenardi sono amanti. Sua moglie, la principessa Anna Maria Pignatelli, detta Mananà, funerea animatrice delle notti romane, da un paio d'anni conduce vita separata, stanca degli eccessi del marito, e probabilmente frequenta già Guido Parisini, un ex ufficiale di cavalleria, che poi diventerà il suo amante ufficiale. Anche lei si è fatta ritrarre qualche anno prima, nel 1917, lo stesso anno del matrimonio con il marchese cremonese, da una pittrice di scuola futurista, lontana parente di Boccioni, Adriana Bisi Fabbri, che sarebbe morta di spagnola un anno dopo, a soli 37 anni. E' un ritratto inquietante, di matrice simbolista, che raffigura Mananà immersa in un'atmosfera notturna con un trucco bianco che rende spettrale il suo volto, così come quando era apparsa ancora giovanissima ad una festa parigina agghindata da Pierrette, con un look che non abbandonerà mai per tutta la vita. Non per nulla, per quegli occhi cerchiati di nero che emergevano tra la cipria bianca del volto come un misterioso fantasma, negli ambienti parigini la chiamavano da tempo “la belle morte”. Ed alimentando il mito di se stessa Mananà si dedica allo spiritismo, durante il giorno dorme in una bara da cui si racconta si alzi solo la sera per iniziare la sua vita notturna tra balli, feste e happening artistici decadenti. Altri raccontano delle sue scorribande notturne nella villa Sommi Picenardi di Olgiate, quando cavalca nuda nei dintorni col volto coperto di un trucco bianco, cadaverico. E d'altronde a Venezia, una volta sposata, si fa notare perchè passeggia in piazza San Marco con un ghepardo al guinzaglio.
Mananà ritratta da Adriana Bisi Fabbri
Guido e Mananà si sposano il 10 marzo 1917 nella cappella della villa di famiglia in Roma, ed il matrimonio diventa un evento di tale importanza che ne parla pure il parigino “Le Figaro”. Dal giornale francese sappiamo che la funzione avviene nel “villino” Pignatelli di via Piemonte alla presenza di tutta l’aristocrazia romana e che Guido era stato arruolato volontario in guerra. All'epoca Guido sta per compiere venticinque anni e Mananà ne ha ventitrè. I due sposi sono già tra i più stravaganti protagonisti della mondanità internazionale, ultimi rampolli di due nobili famiglie. La figura di lui è ancora oggi, per molti aspetti, avvolta nel mistero: sesto marchese di Calvatore dal 1926, anno della morte del padre, signore di Sommo e Pieve Altovilla, e Cavaliere d’onore e devozione del Sovrano ordine militare dei Cavalieri di Malta, è figlio di Nadina Grigor’evna Bazilevskaja, appartenente a una delle più ricche famiglie russe. Il padre Grigorij, già proprietario di terreni nel distretto di Poltava e erede universale della zia paterna, Marija Dolgorukaja, appartiene ad una delle famiglie più ricche e potenti dell'Ucraina. Il 28 gennaio 1891 Nadina sposa Girolamo Sommi Picenardi, marchese di Calvatone, nato a Villa di Grumone il 23 agosto 1869, ex-allievo della Scuola superiore di Venezia, cavaliere dell'Ordine di Malta e segretario di Legazione presso l'ambasciata italiana di Costantinopoli.
In occasione delle sue nozze il principe veneziano Andrea Marcello dà alle stampe alcuni documenti su Angelo e Lorenzo Marcello, priori dell'Ordine dei Cavalieri di Malta a Venezia, dedicandoli al padre dello sposo. Si hanno notizie di Nadina nel Cremonese già intorno al 1889, quando entra in possesso del podere di Licengo. L'anno successivo al matrimonio nasce a Mentone il 12 marzo 1892 Guido, che talora per gioco si firma con il nome Sommi Basilewsky. La marchesa Sommi Picenardi risiede stabilmente nella villa di Torre fino al 25 novembre 1909 quando si trasferisce, per i mesi invernali, assieme al figlio Guido, da Torre de' Picenardi a Venezia, così come appare da un Attestato del sindaco del 19 novembre 1909, con timbro della Prefettura di Cremona e firma in data 20.11.1909: "Il sottoscritto sindaco del Comune di Torre de Picenardi dichiara essergli perfettamente notorio che la mobiglia, quadri ecc. di proprietà della Signora Marchesa Sommi Picenardi caricati a questa stazione ferroviaria diretti a Venezia sono mobili d'uso tolti dalla abituale dimora di costei denominata Castello Picenardi e destinati per l'abitazione invernale a Venezia". I marchesi Sommi-Picenardi a Venezia risiedono in Casa Blaas, alle Zattere, Dorsoduro 1401 e fanno parte del bel mondo veneziano, come è attestato da articoli della stampa locale (La fantasia settecentesca rievocata da Brunelleschi al Lido, «Gazzetta di Venezia», 18 agosto 1926, p. 4, sul ricevimento organizzato il 15 agosto all'Hotel Excelsior al Lido in onore  dell'ambasciatore cinese). Il nome dei Sommi Picenardi appare anche nell'Archivio storico delle arti contemporanee di Venezia in un elenco di nobili famiglie veneziane, possibili acquirenti di opere d'arte. Fino al 1914, tuttavia, Guido risiede nella Caffehouse del giardino di Torre, creata su progetto dell’architetto Luigi Voghera nell’anno 1826, poi modificata e ampliata nel 1899 dall’architetto cremonese Giovanni Repellini, per essere adibita a residenza del giovane marchese. A Venezia Guido inizia a dedicarsi ai suoi studi musicali. Ammiratore e amico di d’Annunzio, frequentatore fin da giovane dei futuristi, a partire dai primi anni Venti Guido compone musiche per alcuni mimodrammi messi in scena dalla compagnia Balli russi Leonidoff, fondata dalla ballerina Elena Pisarevskaja e dal regista futurista Aldo Molinari.

Tamara de Lempicka nel 1928
Anche Maria Anna dei principi d’Aragona Pignatelli di Terranova di Cortes vanta nobili natali. La famiglia Pignatelli Aragona Cortes affonda radici nella storia del regno di Aragona e di Sicilia, mentre il Cortes deriva da un’unione, seppur indiretta, con Stefania Cortes, unica discendente del conquistador Hernan Cortes. L’ampia famiglia contava diverse proprietà (e annessi diritti di sovranità) in Italia, in Messico e in Spagna. Nella sua genealogia figura anche un personaggio inquietante a cui poter far risalire, in un certo senso, l'attrazione di Mananà per il mondo delle tenebre e dell'occulto: Bartolomeo Pignatelli, arcivescovo di Messina, è il pastor di Cosenza citato nel Purgatorio di Dante per aver profanato nel 1266 la tomba di Manfredi. Ne aveva dissotterrato il corpo dal tumulo di pietre sotto il quale i cavalieri francesi lo avevano sepolto per onorarne l’eroismo, benché fosse stato un nemico; poi, lo aveva trasportato a candele rovesciate e spente, come si faceva con gli scomunicati e gli eretici, ed infine ne aveva disperso i resti al di fuori dei confini dello stato della Chiesa. Il padre di Mananà è Giuseppe Pignatelli di Terranova (1860-1938), detto Peppino, senatore del neonato Regno d’Italia e la madre, donna Rosa, era nata marchesa de la Gàndara y Plazaola.
La coppia dei novelli sposi è tra le più ricercate di Roma, e anche la più mondana. Tamara de Lempicka, a cui Mananà presenta nel 1926 una delle suefrequentazioni famigliari, Gabriele D'Annunzio, così li descrive: «Mananà e Guido Sommi Picenardi, la cui maniera di vivere sarebbe definita oggi come una sorta di "hippy", capeggiavano un circolo di giovani brillanti, che si occupavano ogni notte tra feste, opera, balletti, concerti e pranzi in dimore private con servi in livrea. In tali occasioni, le donne erano sempre magnificamente vestite e coperte di gioielli; gli uomini sempre belli e eleganti. La conversazione era supremamente coltivata e spiritosa».
Anche Indro Montanelli, rispondendo ad un lettore, Giovanbattista Brambilla, nella sua rubrica La Stanza del 25 giugno 1997, parla di un soggiorno nella villa di Torre de' Picenardi, ospitato dalla strana coppia: “Erede in linea diretta non solo dei principi Pignatelli, ma anche del grande conquistador del Messico, essa apparteneva al dorato jet – set cosmopolita degli inizi del secolo, quando le capitò di partecipare a una grande festa mascherata a Parigi, punto di raccolta di quella società.. Vi si presentò truccata da Pierrette con la zazzerina a gronda sulla fronte e il volto interamente coperto da una patina di biacca. Ebbe un tale successo che non volle più abbandonare questa cosmesi, nemmeno quando gli anni cominciarono a farlesi sentire. Io, che pure per un certo periodo l’ho molto frequentata, non l’ho mai vista che con la zazzerina incanutita sul volto di gesso, a tutte le ore del giorno e anche della notte, perchè solo di notte lei viveva. Così d’altronde la voleva anche suo marito, Guido Sommi Picenardi, altro dannunziano doc, ricco di talenti (letteratura, teatro, musica) coltivati da raffinato dilettante, e per questo incompiuti. Una volta che m’invitarono a un soggiorno nella loro famosa Torre, mi misero a dormire in un letto foderato di lenzuola di seta nera che sembrava una bara. Superstizioso come sono, buttai via le lenzuola, ma anche il materasso era nero, come lo era tutto il decor di quella casa che sembrava uscita dalla fantasia di un impresario di pompe funebri. Dopo la morte del marito, Mananà si scelse per compagno la sua antitesi umana: Guidone Parisini era un ex ufficiale di cavalleria che s’intendeva e parlava solo di stalle e di concorsi ippici. Si ritirarono prima a Capri, poi a Venezia, dove lei, sempre addobbata da Pierrette, dette sfogo alla sua passione, la scultura. 

Non sappiamo in realtà quando la Lempicka abbia conosciuto Guido Sommi Picenardi e, soprattutto, se sia stato lui il tramite per le sue frequentazioni futuriste parigine, Marinetti e Prampolini, oppure se viceversa attraverso i futuristi lei abbia conosciuto il marchese. A Milano Tamara giunge nel 1925, invitata dal conte Emanuele Castelbarco che vuole organizzarle una personale. La inaugura il 28 novembre, nella galleria Bottega di Poesia: trenta dipinti e diciotto disegni. Già pittrice affermata, è la moglie dell’avvocato polacco Tadeusz de Lempicka, da cui divorzia tre anni dopo, e la madre di Kizette, nata nel 1916. Il marchese Guido Sommi Picenardi è un dandy bizzarro che la introduce nel circolo dei Futuristi: si dice sia appassionato di occultismo, e pare pratichi sedute spiritiche, oltre ad essere un occasionale travestito, e un casanova quasi professionista. Si dice abbia tendenze sadiche e omosessuali, cosa che deve certo affascinare l’animo decadente di Mananà nei primi tempi, ma che poi finisce per stancarla dato che a partire pressappoco dal 1923 i coniugi iniziano a condurre vite separate.
La Villa di Torre de' Picenardi
Tamara, attirata dalle famiglie blasonate, e ancor di più dal fascino tenebroso del marchese, ne diventa la sua amante. Da quel loro primo incontro, nel 1925, nascono due ritratti. Uno dei due, già esposto anni fa a Palazzo Reale di Milano nella mostra dedicata alla de Lempicka – è andato all’asta da Sotheby’s New York con una stima di 4-6 milioni di dollari nel novembre 2016, nella vendita serale di Impressionisti e Arte Moderna. La tela è rimasta fino al 1969 nella collezione privata della pittrice, forse come souvenir della focosa relazione con il bel nobiluomo italiano. L’opera proviene dalla collezione newyorkese di Kenneth Paul Block e Morton Ribyat, coppia di collezionisti americani che trascorsero insieme più di sessant’anni della propria vita. Block era un celeberrimo illustratore che lavorò per il New York Times, Chanel, Balenciaga e Saint Laurent; il suo compagno Ribyat fu un valido disegnatore di tessuti, attivo per importanti aziende del settore.
Negli anni Trenta Guido Sommi si fa notare sulle pagine del “Regime Fascista” per la sua feroce critica alla produzione artistica contemporanea, soprattutto nei riguardi di Sironi, colpevole per le “deformazioni irrealistiche” del suo linguaggio pittorico. Poi si ritira nel castello di famiglia a Torre dei Picenardi negli anni Quaranta, dopo aver subìto le torture dei nazisti nel 1945 in quanto probabile oppositore al regime fascista, al contrario del cugino Gianfrancesco, fedele di Mussolini. Conduce là il resto di una vita apparentemente solitaria, morendo “in circostanze poco chiare”, il 30 marzo 1949.
Mananà, invece, va avanti nella sua vita di sempre tra feste, ricevimenti, balli mascherati e pranzi di gala, a Roma stringe amicizia con la marchesa Luisa Casati, che abita pocoa lontano da lei in via Piemonte 51, compagna delle sue scorribande spiritistich. Si dedica alla scultura, dapprima in un piccolo appartamento al pianoterra dello stabile 11 di Corso d’Italia, nei pressi di Villa Borghese, poi in un secondo atelier, probabilmente in via Margutta. Poi con Parisini si trasferisce a Capri. Delle sue sculture non sia nulla. Per non smentire la sua fama di artista “maudite”, secondo Federico Zeri sarebbero state caricate nottetempo su di una zattera e affondate al largo della laguna.

Anche la morte di Mananà, avvenuta nel 1960, è avvolta nel mistero. La leggenda vuole che la principessa Pignatelli sia morta a Venezia, dove si era trasferita ormai anziana, precipitata e annegata nel Canal Grande mentre usciva da Palazzo Mocenigo, sua ultima dimora, per partecipare all’ennesima serata mondana. C'è chi dice che fosse stata avvelenata dalla tintura nera dei suoi capelli, ma in realtà morì poco dopo, all’ospedale, in seguito alle complicazioni di una malattia, forse tisi, che la tormentava già da lungo tempo e che la caduta nell’acqua gelida avrebbe sensibilmente peggiorato.

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