martedì 3 aprile 2018

La Grande Guerra raccontata ai bambini

In guerra muoiono così i poveri come i ricchi. La carestia, conseguenza della guerra, è sentita specialmente dai poveri. Ma anche i ricchi soffrono molti danni che derivano dalla guerra. E' perciò impossibile che la guerra l'abbiano voluta i ricchi”. Era il marzo del 1918, l'esercito tedesco aveva scatenato l'offensiva di primavera sul fronte occidentale, mentre su quello italiano, dopo il grande sforzo militare e logistico di Caporetto, che non aveva prodotto un completo crollo dell'esercito italiano, gli austriaci erano ridotti allo stremo. Per far fronte alla riorganizzazione dell'esercito italiano, i ranghi imperiali erano stati rimpolpati con reclute diciassettenni e veterani, ma scarseggiavano le armi ed il cibo e la propaganda degli alleati aveva finito con lo sfiancare anche l'ostinata pervicacia degli austroungarici. Proprio in quei giorni, in attesa dell'attacco finale sul Grappa e alle foci del Piave, agli italiani veniva richiesto un ultimo sforzo. Non solo ai soldati al fronte, ma anche alle donne ed ai bambini rimasti nelle città e nei villaggi. Tutti potevano e dovevano essere utili alla patria. Anche la scuola durante la Grande Guerra si trasformò in una macchina per il sostegno patriottico. A cambiare furono in particolare le materie che, dopo un'attenta revisione, proposero programmi pedagogici legati al tema del conflitto e discussioni legate all'attualità. L'obiettivo era far capire anche ai bambini cosa fossero la Patria, la guerra per Trento e Trieste, l'eroismo militare e farli familiarizzare anche con gli aspetti più tragici della guerra come le violenze quotidiane e la morte.
L'opuscolo stampato a Cremona nel 1918
(Museo del Risorgimento di Bologna)

Fu così che proprio nel marzo di cent'anni fa, per iniziativa del Segretariato Provinciale di Cremona delle Opere federate d'assistenza e Propaganda Nazionale venne pubblicato un opuscolo “Pro resistenza interna. Dettati per le scuole elementari” dove i dettati, divisi per classi 2a e 3a, 4a, 5a, 6a affrontavano i temi della crudeltà del nemico, dell’impegno alla resistenza interna da parte della popolazione, delle misere condizioni di vita dei profughi delle terre invase, degli eroi italiani (da Dante a Garibaldi) e non mancavano per le ultimi classi, lettere di figli ai padri in guerra, in cui i bambini raccontavano i loro sacrifici per aiutare la mamma e il loro impegno per la vittoria dell’Italia.
La necessità di avvicinare la scuola e la trincea finiva con il coinvolgere tutte le materie di insegnamento: per la lingua italiana erano previste letture di giornali e periodici che narravano episodi della guerra, l’esame e la descrizione di vignette, quadri, cartoline illustrate rappresentanti i più significativi momenti ed episodi di guerra e specialmente atti d'eroismo del nostro esercito; per la geografia si proponevano tra l’altro, la configurazione del Carso e l’elenco dei comuni conquistati, ed i problemi logistici che affrontava in questo senso l'esercito italiano. Snel programma di scienze venne dato grande spazio alle novità tecnologiche in campo militare. I bambini scoprivano così le armi utilizzate al fronte, gli esplosivi, la crudeltà dei gas asfissianti, gli affascinanti aeroplani. Non mancavano poi riferimenti alle tecniche di costruzione delle trincee, dei camminamenti, dei reticolati e l'organizzazione delle retrovie. Infine, venne suggerito agli insegnanti di educazione fisica di sostituire le ore di ginnastica e sport con visite agli ospedali militari, alle fabbriche riconvertite alla produzione militare e ai campi di prigionia
Gli insegnanti avevano anche il compito di sorvegliare e segnalare i casi di bambini che si dimostrassero poco inclini a sostenere la guerra e lo sforzo patriottico. Antonio Gibelli ("La Grande Guerra degli italiani", BUR, Milano, 2009, p. 235), racconta ad esempio di una bambina che in un tema, scrisse: "Chi fa la guerra sono tutti poveretti perché di signori non ce n'erano lì in terra" riportando delle considerazioni sentite dal padre, ricoverato in un ospedale dopo essere stato ferito al fronte. La maestra, dopo aver chiesto dove avesse sentito queste cose, strappò il compito e diede un ceffone alla piccola. Nulla doveva turbare il crescente patriottismo dei bambini. 
Non a caso l'opuscolo cremonese si apre con il testo che abbiamo riportato all'inizio. E' un dettato per bambini di 2ª e 3ª elementare. Altri affrontavano il tema del nemico tedesco. Infatti fino alla fine del XIX secolo, i bambini erano stati poco considerati all'interno delle società e del nascente mercato di massa. Al contrario, all'inizio del Novecento iniziarono ad essere visti come dei potenziali lettori e consumatori di beni, nella consapevolezza che la loro nazionalizzazione avrebbe costituito per molti versi la premessa all’opera di statalizzazione dell’infanzia condotta successivamente dal fascismo. “I Tedeschi. Recita un altro dettato – si credono destinati da Dio a governare il mondo e perciò fanno la guerra per dominare tutti gli altri popoli. Siccome poi la Germania è molto popolata e possiede tanto ferro e tanto carbone, così con la prepotenza, cerca, fuori dai suoi confini, nuove terre per dare sfogo alle sue produzioni. Per queste ragioni la Germania fa la guerra con grave danno di tutti gli altri Stati”. Come i soldati al fronte, anche ai bambini si chiedeva obbedienza, senza la pretesa di sapere i perchè ed i per come della guerra. Un dettato per la 2ª e 3ª: “Noi fanciulli non dobbiamo prestar fede ai cattivi e agli ignorante che vogliono i tedeschi in Italia. Dobbiamo ascoltare le parole dei nostri maestri e ripetere in casa e fuori che questa guerra è stata voluta dalla Germania, la quale mira a diventare a ogni costo la padrona del mondo”. Ed ancora un richiamo nazionalista: “Gli uomini più grandi del mondo sono: gli scienziati Archimede, Galileo, Volta e Marconi; il poeta Dante Alighieri; lo scopritore Cristoforo Colombo; i pittori Raffaello, Tiziano e Michelangelo; i musicisti Rossini e Verdi; i condottieri Giulio Cesare, Napoleone e Garibaldi. Questi grandi sono nati in Italia e, per essi, tutti gli uomini ebbero la civiltà ed il progresso. Gli italiani non lo devono dimenticare; gli italiani hanno diritto, come ogni altro popolo, di avere la propria libertà, perchè la propria civiltà continui a trionfare”.
Foto del Museo dell'Educazione-Università di Padova
Se la condizione dei bambini nel periodo di guerra mutava in relazione alla loro appartenenza sociale, è comunque possibile rilevare alcuni elementi che accomunavano le esperienze dei più piccoli. A partire dalla diffusione dell'ideologia della parsimonia e dei sacrifici che divenne un imperativo economico e morale che riguardava tutti i cittadini, indistintamente, inclusi i più piccoli. Nei giornalini a loro destinati, nelle cartoline illustrate, nei manifesti murali, i bambini diventavano destinatari di ammonimenti precisi: non consumare troppo le scarpe saltando alla corda, non sprecare carta facendo macchie sui fogli, consumare solo lo stretto necessario per l'alimentazione, magari rinunciando allo zucchero che scarseggiava. Ai più piccoli si consigliava questo dettato: “La carestia, conseguenza della guerra, comincia a farsi sentire. È dovere di tutti sopportare le privazioni di questi difficili momenti senza lamento alcuno, serenamente e silenziosamente. Tutto ciò che risparmieremo nelle nostre case tornerà a beneficio dei soldati che, altrimenti, ai gravi disagi della trincea dovrebbero aggiungere anche quello più grave della fame”. Ed ancora: “I nostri bravi soldati resistono, combattono da leoni, perhè il crudele nemico non avanzi, Essi vogliono vincere e vinceranno. Ma alla volontà loro la nostra si aggiunga forte, risoluta. Il ricco, il povero, il letterato, l'operaio, il sacerdote, si uniscano fraternamente in un solo pensiero: la vittoria. Grandi e piccoli, uomini e donne con animo virile sopportino dolori e privazioni. Bisogna resistere, bisogna vincere”. Un dettato per i più grandicelli ammoniva: “E' tempo di sacrifici, fanciulli miei, delle generose rinuncie, che ognuno impone a sé stesso, sull'unica legge del cuore, quando la Patria è nel pericolo e nel dolore. L'aula è poco riscaldata: ebbene, ci riscalderemo noi con la ginnastica che fa l'animo lieto e rinvigorisce il corpo; occorre tanto legno lassù per nuove trincee; nessuno qui senta il freddo. Il pane è oscuro: ma ai nostri prodi combattenti non mancheranno le buone pagnotte; nessuno si lagni. Gli abitini sono un po' logori, ma di grigio verdi ce ne saran sempre di nuovi; non pensiamo a inutili capricci. E non più leccornie, non più cinematografi, non più sollazzi, finchè lo straniero calpesti il suolo d'Italia”. Un altro dettato cerca di giustificare la mancanza di derrate alimentari. mettendo all'indice i disfattisti: “Alcuni dicono ancora oggi: «Si poteva restare neutrali e non vi sarebbe stata carestia». Ebbene guardiamo le azioni neutrali p.e. la Svizzera e la Spagna. Esse sono in condizioni quasi peggiori di noi per quantità di generi alimentari. Ciò perchè gli Stati in guerra han proibito l'esportazione di molti generi e han rincarato tutto. I neutrali, per aver ciò che loro manca, devono pagarlo ad altissimo prezzo. E' aumentato anche incredibilmente il costo dei trasporti di merci, per i danni dei sottomarini. I negozianti nei paesi neutrali hanno comperato ad ogni prezzo i viveri, per rivenderli ai paesi belligeranti, e tutto questo ha portato la carestia anche ai neutrali, carestia forse più grave di quella che sentiamo noi”.
Disegni di un bambino (Museo dell'Educazione-Università di Padova)
Non mancavano parole anche per le martoriate popolazioni che si trovarono nei territori invasi dalle truppe austriache e tedesche all’indomani di Caporetto; qui i bambini e le bambine conobbero anche la paura e la fame, la prepotenza degli uomini in armi, il precoce contatto con la violenza e con la morte. Inoltre i bisogni della popolazione finirono in se- condo piano rispetto alle priorità dell’esercito occupante: i generi alimentari destinati ai civili vennero drasticamente razionati; le produzioni manifatturiere e agricole vennero requisite e si procedette allo smantellamento di ciò che ri- maneva dell’apparato produttivo; foraggi, animali, derrate alimentari e persino suppellettili domestiche e biancheria dovettero essere consegnate. “Abbi pietà di tutti gli infelici; ma, oggi, il tuo cuore sia specialmente rivolto ai profughi delle terre invase: ai miseri che abbandonarono la casa, le cose più care, per isfuggire alla cattiveria del nemico, per essere liberi e Italiani. Per loro risparmia il soldino destinato alla gola”.

La necessità di fornire un sostegno patriottico ai soldati impegnati al fronte, vede in prima linea anche i bambini. Il nostro opuscolo si conclude con l'indicazioni di due dettati dal forte contenuto emotivo: “Scrivete al vostro babbo, suggerite alla mamma, che con voi gli scriva: ditegli che lo vedete con gli occhi del cuore e della mente, e ve lo figurate attento e fiero, pronto all'attacco per la vittoria nostra, per la sconfitta di quel nemico che mira con ansia feroce a rendersi padrone delle nostre case, delle nostre belle campagne, delle nostre industri città, che vuol calpestare le tombe dei nostri avi che l'avevano scacciato, che vuol soffocare in noi ogni palpito di libertà, che vuol renderci schiavi una seconda volta”. Ed infine: “Questo grido: La Patria è in pericolo! Questo grido che vuole chiamare in soccorso tutte le forze di tutti gli italiani, viene persino dalle madri, che hanno già perduto un figlio e che scrivono all'altro che è in trincea: «Figlio mio, fai il tuo dovere; combatti e vendica il fratello ucciso; combatti e sii degno della libertà che vogliamo, della giustizia che dobbiamo amare!» Vi sarà ancora oggi un insensato che osi dire: «Ben vengano i Tedeschi!»? Ricordatevi: Tedesco significa bastone, catene, forza, miseria, avvilimento, distruzione di tutto ciò che è bello, santo, di tutto ciò che amiamo. Di tutto ciò che è nostro”. La guerra non risparmiava nessuno, tutti venivano chiamati. Anche i bambini.

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